RIGENERAZIONE DEL SALENTO: UN’EMERGENZA NON PIÚ PROCRASTINABILE
UNA RIFLESSIONE SULLA NECESSARIA RIGENERAZIONE
AMBIENTALE E RURALE DEL TERRITORIO
Lo spettacolo raccapricciante di migliaia di ulivi dati alle fiamme – fenomeno le cui responsabilità e i cui moventi dovrebbero essere indagati con urgenza – è la certificazione di una deriva che non riguarda soltanto la situazione botanica, ma l’intera condizione del territorio salentino. Le infruttuose diatribe sulle cause del disseccamento degli ulivi hanno fatto ombra a questioni di fondo che sono rimaste irrisolte, se non ignorate: questioni che riguardano certamente l’assetto dell’economia agricola, ma più in generale la qualità del tessuto economico e istituzionale del Salento.
Alla base della devastazione paesaggistica ci sono tre condizioni di fondo: un assetto quasi-monocolturale (al censimento dell’agricoltura del 2010, le aziende agricole dedite all’olivicoltura nella provincia di Lecce erano il 92,6% del totale e gli uliveti occupavano oltre il 60% della superficie agricola utilizzata); la diffusione di pratiche agricole che fanno uso indiscriminato, e non di rado incompetente, di preparati chimici che impattano negativamente sulla qualità del suolo e sulla biodiversità; la progressiva disattivazione delle terre, legata anche all’estrema frammentazione della proprietà dei fondi e alla disaffezione delle generazioni giovani rispetto al tradizionale rapporto con la campagna. In breve, il Salento ha un problema di ordine “strutturale”, che i soli interventi fitosanitari – se pure fossero efficaci – non potrebbero risolvere.
Per evitare scenari distopici, bisogna porre all’ordine del giorno una questione duplice. In primo luogo, è urgente ricostituire nel più breve tempo possibile un patrimonio botanico in grado di rimediare al deficit di ossigeno e al processo di desertificazione, ponendo anche le basi di un rinnovamento paesaggistico. A questo scopo, possono essere attivate iniziative di “riforestazione”, per restituire al Salento – come afferma l’associazione Manu Manu Riforesta – «la sua eredità verde», insieme all’ombra e all’ossigeno di cui non possiamo fare a meno. È un intervento complesso, che richiede risorse e competenze specifiche. In secondo luogo, bisogna attivare un ampio processo di rigenerazione del territorio, ovvero ricostruire condizioni di abitabilità che negli ultimi decenni sono state smarrite, vuoi per l’impatto delle crisi economiche, vuoi per inerzia istituzionale. Un capitale inestimabile di insediamenti e di artefatti, dentro e fuori dai centri abitati, ha bisogno di essere rinnovato, ripensato, rifunzionalizzato. Non esiste un rimedio di per sé in grado di invertire la rotta. Bisogna invece mettere in atto interventi coordinati, che richiedono grande capacità politica e amministrativa e una spiccata propensione al coinvolgimento delle comunità e degli attori sociali.
Prima di tutto questo, però, si dovrebbe urgentemente approntare un’azione decisa volta a fermare la prassi ormai diffusa di mettere fuoco agli uliveti secchi per liberare i campi dalla loro ingombrante (e triste) presenza. La cronaca degli ultimi mesi e il grido di allarme delle forze impegnate nello spegnimento dei fuochi (vigili del fuoco, protezione civile) ci mettono di fronte a un’inedita e preoccupante reiterazione di incendi a uliveti che si sussegue ormai quotidianamente e diffusamente in tutta la provincia. Il fuoco non distrugge solo gli uliveti morenti, ma provoca danni ingenti alla flora presente al loro interno o nelle vicinanze (fichi, carrubi, mandorli, macchia mediterranea ecc.), impoverisce ulteriormente i suoli, uccide la fauna, distrugge ulteriormente il suo habitat, mette a rischio i centri abitati, crea un clima di emulazione e impunità che spinge ulteriori azioni criminali di devastazione incendiaria a danno delle poche e preziose aree naturalistiche presenti nel territorio. Per dissuadere dall’uso indiscriminato e dannoso del fuoco, quindi, è responsabilità delle istituzioni (Regione, Province, Comuni) combinare un piano capillare di maggiori controlli, con un sistema a sportello volto a sostenere tutti i proprietari di uliveti nell’eradicazione degli ulivi secchi e ormai irrecuperabili secondo metodi meccanici che tutelino i suoli e l’ambiente circostante.
Un altro intervento indispensabile riguarda l’assetto e l’utilizzo dei suoli agricoli. Strumenti di ricomposizione dei fondi, come le associazioni fondiarie, sono stati già sperimentati in altre regioni. Ovviamente, la ricomposizione fondiaria si deve accompagnare a una campagna di sostegno, non soltanto economico, di nuove attività rurali ad alta sostenibilità in grado di alimentare la biodiversità, seguendo gli esempi di chi da anni, anche nel Salento, sviluppa esperienze innovative, come i soggetti coordinati dalla rete Salento Km0. Un contributo decisivo può venire da iniziative di public procurement alimentare e dalla costruzione di filiere territorializzate, realizzando sistemi locali del cibo e ristrutturando le filiere della refezione pubblica e della ricettività turistica. Anche su questo versante, non mancano esperienze esemplari, come quello della mensa scolastica a filiera corta di Melpignano, che si aggiungono a importanti iniziative nate “dal basso”, come i patti di filiera per i cereali di qualità, attivati dalla cooperativa Casa delle Agriculture intorno al suo “mulino di comunità”.
Per restituire senso all’abitare un contesto come la provincia salentina, occorre ricostituire opportunità di lavoro e di realizzazione personale per le generazioni più giovani, e al tempo stesso irrobustire le basi materiali e immateriali della qualità della vita, ovvero il tessuto di beni e servizi collettivi essenziali, che negli ultimi vent’anni è stato eroso dall’austerity. Il sostegno pubblico per l’iniziativa economica si può quindi estendere a tutte le attività che contribuiscono al rinnovamento dell’economia fondamentale del territorio: servizi socio-assistenziali innovativi, iniziative di formazione permanente, interventi di riqualificazione del patrimonio edilizio e delle infrastrutture sociali, sistemi di mobilità e trasporto ad alta sostenibilità, produzione e distribuzione di energia su base comunitaria. Senza dimenticare la produzione culturale, che è una condizione indispensabile per assicurare benessere a nuove generazioni di abitanti, non necessariamente autoctoni, del contesto rurale. In tutto questo, la cosiddetta “vocazione turistica” non viene meno, ma si ricolloca su una dimensione di maggiore sostenibilità. Soltanto su una qualità diffusa del paesaggio e del tessuto socio-economico si può innestare una valorizzazione sostenibile dei flussi turistici, che sinora sono stati interpretati, viceversa, come una nuova monocoltura del settore terziario affidata al fai-da-te, incapace di alimentare un benessere diffuso e durevole.
Tutto questo, beninteso, non può essere un programma localistico. Il destino del territorio salentino – come di tutti gli altri – non può essere affidato a soggetti e risorse endogeni. Tuttavia, se su questioni tanto urgenti quanto complesse non si riattivano subito capacità amministrativa e protagonismo delle comunità, saranno poche le opportunità di mettere a frutto risorse nazionali e internazionali. Un processo di rigenerazione delle infrastrutture materiali e immateriali del territorio si può realizzare soltanto su basi distrettuali, con una capacità di coordinamento che superi le sterili microconflittualità politiche, ed è praticabile soltanto con un intenso coinvolgimento delle comunità e di quegli attori sociali che, dentro e fuori il Terzo Settore, sono portatori di esperienze e conoscenze sulle risorse territoriali. Questo significa mettere in campo un’azione di impulso che parta dalla Regione e definisca un piano integrato, coerente e sinergico che interessi tutto il territorio provinciale, con misure di sostegno a processi di partecipazione attiva, progettazione e intervento articolati per sub-aree territoriali delimitate secondo parametri paesaggistici, culturali, idro-geologici e agro-ambientali, secondo logiche partenariali che includano istituzioni locali, proprietari terrieri, imprese agricole, imprese e associazioni innovative anche non agricole ma impegnate con creatività, competenza, passione e spirito innovativo in progetti di diversificazione dell’economia rurale (in campo culturale, agro-ambientale, sociale, turistico, ambientale ecc.). La devastazione delle aree rurali che sta colpendo tutto il Salento non può essere affidata a iniziative sconnesse, né a comitati consultivi o gruppi di studio isolati e poco rappresentativi della pluralità di competenze che sarebbe necessario attivare (agronomiche, economiche, sociologiche, antropologiche, ecologiche e ambientali ecc.). E’ necessario, invece, definire e avviare al più presto una politica regionale di inquadramento complessivo, coordinamento e attivazione dei territori che, sulla base di un protocollo di collaborazione tra assessorati diversi (agricoltura, ambiente, beni culturali ecc.) definisca adeguate linee guida, soprattutto sulle forme di coinvolgimento delle comunità locali, la costruzione di partenariati locali di progetto e la fissazione di limitazioni nella destinazione d’uso dei terreni da rigenerare, con un’attenzione particolare al contrasto ad ogni abuso speculativo sui terreni agricoli che ne impoverisca la fertilità e ne impedisca la valorizzazione ecosostenibile all’insegna della biodiversità, l’equilibrio ecosistemico, l’armoniosa integrazione tra attività agricola e pastorale, la ricostruzione del paesaggio coerente con la storia dei luoghi, la tutela e ripristino delle aree boschive.
In un recente passato, la regione Puglia ha messo in campo uno sforzo notevole nel settore delle politiche giovanili: un esempio che ancora oggi solleva l’interesse di ricercatori di tutta Europa. Oggi si tratta di replicare quella capacità di innovazione estendendola oltre i confini dei settori creativi, per mobilitare innovazioni nelle attività economiche fondamentali: la produzione e la distribuzione alimentare, i servizi di cura, l’istruzione, l’edilizia residenziale, la mobilità, le infrastrutture sociali e la stessa produzione culturale. È su questo terreno che si possono coniugare innovazione, benessere, sviluppo e sostenibilità, rinnovando un tessuto di competenze che non si è ancora disperso. Questa responsabilità storica grava sulle spalle di una generazione di amministratori che forse non si attendeva di doverla affrontare. Se ciascuno difenderà soltanto le sue prerogative, tuttavia, il Salento acquisirà presto i tratti del sottosviluppo: da un lato avanzerà – come sta già accadendo – il land grabbing, ovvero l’accaparramento di suolo da parte di grandi attori economici interessati a forme di sfruttamento monocolturale (impianti fotovoltaici, agricoltura intensiva), accelerando i processi di desertificazione. Dall’altro, l’economia del turismo sarà sempre più confinata entro nicchie di benessere privato, prive di radicamento territoriale e con una vocazione fortemente estrattiva. Nulla che somigli a quella prosperità che, appena l’altroieri, avevamo immaginato.
[Angelo Salento – Università del Salento; Daniele Morciano – Università di Bari]